“L’udito cronico” di Cristina Annino- la poeta androgina

L’udito cronico, la raccolta poetica di Cristina Annino (pseudonimo di Cristina Fratini) era comparsa nella collettanea Nuovi poeti italiani 3 a cura di Walter Siti nel 1984, oggi ripubblicata da edizioni Graphe, nella collana Le mancuspie diretta da Antonio Bux.

Le poesie d’amore le do
in appalto ai droghieri. Io
inseguo pensieri su cui
casco, è vero, in rime toniche.
Anche a me succede; ma in genere,
è un fatto, sto in piedi.
Ed ho
un bell’udito cronico
per la vita, o meglio
per la testa impazzita
dell’uomo che ragiona, e gli sale
accanto in due, divisa
fino all’occhio glaciale.»

Difficile definire la poesia di Annino che sembra aliena, fuorigenere: potente. Potente è l’aggettivo che ho sentito risuonare per tutto il tempo nella testa ad ogni passo letto ; potente è stata l’ultima parola che ho esclamato chiudendo il libro.

.Nei suoi versi ribolle un’agitazione permanente visionaria, disturbante. Una agitazione che nega l’amore convenzionale ma insegue pensieri di inciampo che dimezzano, duplicano, la fanno gemella e neutrale. Quei pensieri che non placano la necessità di scoprire e scoprirsi per Essere altro, essere tutti in un unico corpo; per parlare assolvendo più ruoli, con più volti: in poche parole essere. Cosa?: un senso cronico, incisivo, che ascolta e condiziona l’Essere: l’essere in un ruolo definito, simmetrico, lineare, eloquente. In fondo, il poeta, la poeta, non ha il compito di quietare gli animi ma di irrisolvere, porre domande, pungolare, questionare in modo continuo se stesso, se stessa, le cose molli del mondo facendosi essenza, privo di pelle, solo sensi, quasi divino. E se l’udito è cronico, in Annino, la vista è sensitiva, il corpo visionario. La poesia androgina.

«(…) metto /l’inferno in bocca (…)/. Faccio insomma/l’idiota. Avanti, che il deserto/bisogna amarlo; e se parlo/del padre mi levo/tanto di cappello. Entriamo.».

L’uso di enjambement e della punteggiatura creano sospensioni, suggestioni un ritmo spezzato che richiama un cinico entusiasmo, un dramma, volgare e disturbante, violento, distopico e impossibile da evitare, piuttosto amarlo.

«Le madri sono fregate; disse/ bellamente. Le madri sono uccise./ (…)/ Balla con madri di tetra/ biancheria nella narice; (…); da vive,/ tutte sono uguali. Ma il corpo/ di lui le tossisce in giù, nel verso/ delle latrine. Non le capisce, viso/ di macellaio con rughe/ come pantere distese.».

Ha un ritmo struggente la poesia di Annino che chiama a raccolta presenze, suggestioni e visioni, crea combinazioni tra realismo e fantasticheria, tra naturale e antinaturale, tra satira, cinismo, ossessione e visionarietà, e ne fa cosa nuova. Le madri sono uccise, dice, poiché ciascuno genera se stesso/a tramutandosi in Altro. In Annino accade con un Io declinato al maschile che sembra avere un valore più universale e neutro che propriamente di genere: l’Io è un occhio che vaga, un orecchio che ascolta, una mano che orienta nel buio, come accade ai sonnambuli quando si muovono, senza saperlo, nel sonno.

« Alla bestia io sono abituato; la nutro tre volte al giorno, mi mette sotto inchiesta.Se non l’avessi nella mia testa, non so dire che sarei, varrei molto meno.(…)».

Il poeta, la poeta non può fare a meno del demone che alimenta e dal quale si lascia divorare ( o sfamare?) e la vive/ lo vive quasi fosse il sosia o il gemello.

Irrompe quindi la simbologia del demoniaco, del mostruoso e del doppio (che sarebbe opportuno descrivere e approfondire più che in un breve articolo, in un saggio. ).

In Annino i versi sono elettrici, concatenazioni di realtà possibili. Le frasi scalpellate; le immagini sovrapposte in composizioni di parole si urtano creando un’armonia indefinibile, eppure assuefacente, come se ci appartenesse, quasi fosse familiare, tra paura e attrazione.

«Avevo bisogno di coprirmi gli occhi, ma volevo, così tanto, sbirciare attraverso le dita. Amavo questa paura in modo strano e troppo. » scriveva Shirley Jackson in “Abbiamo sempre vissuto nel castello” ed è questa la sensazione che si ha nel leggere le poesie di Cristina e Annino, scrittrice dominata dal furore del parto poetico e dal demone folle che la abitava.

Annino Ci restituisce una realtà cruda e simbolica in cui l’Io si deforma per viverla, comprenderla o, a sua volta, svisarla. E Come in un quadro di Bosch o di Remedios Varo, simbolico, entropico e androgino, e davanti al quale si resta a guardare per ore cercando di svelare gli enigmi nascosti, così la poesia di Annino, compianta poetessa da scoprire e riscoprire, Struggente, visionaria, irriverente e inesauribile, si resta sospesi.

altri articoli saranno dedicati alla poetica androgina di Annino

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